Piccolo, leggero, economico, trasportabile, divertente…
Aggettivi che descrivono alla perfezione il nostro amato strumento. Ma da lì
all’appellativo di “giocattolino”, o al diminutivo/dispregiativo di “chitarrina” il passoè breve.
Probabilmente a trarre in inganno i non addetti ai lavori saranno le sue dimensioni ridotte; in effetti non è che capiti tutti i giorni di imbattersi in strumenti a corda così piccoli in grado di… suonare. Eppure, incredibile a dirsi, esso è dotato di un suono, o meglio, un suo “timbro” caratteristico, che lo contraddistingue; per non parlare di alcune peculiarità costruttive come il SOL rientrante, acuto, posto dove solitamente ci andrebbe la corda più grave, tipico di pochissimi altri strumenti a corda, come il charango o il banjo bluegrass a cinque corde.
Tuttavia, complici certi luoghi comuni (“piuttosto che perdere tre anni così impara a suonare l’ukulele”, diceva Crozza, in una battuta piuttosto infelice) e certi spot pubblicitari (dove imperversano ukulele rosa e jingle fastidiosi) in questi ultimi anni l’ukulele è stato, diciamolo, un po’ ridicolizzato.
Si potrebbe guardare al bicchiere mezzo pieno – “male, purché se ne parli”, diceva Oscar Wilde – perché, in effetti, tutto questo tam-tam gli ha concesso una nuova visibilità, ridonando speranza a chi fino a ieri vedeva il “suonare uno strumento” come qualcosa di troppo complesso o aveva ancora gli incubi notturni del saggio delle medie col piffero grondante di saliva.
Analizziamo però il volume vuoto del bicchiere, e cerchiamo di capirne cause e conseguenze. Lo sfigato vestito da coniglio che in TV suona e canta (stonando) la serenata alla sua ragazza imbracciando un ukulele rosa (e facendole fare una gran figura di merda) potrà forse risultare simpatico (per qualcuno) ma indirettamente trasferisce un’idea dell’ukulele come oggetto ridicolo, perché ridicolo è il contesto.
Il co-pilota sull’auto da rally che dice sciocchezze fuori luogo e canta (male) Figaro Figaro Fiiigarooo potrà mai non imbracciare un ukulele (rosa)?
Con questi presupposti, generati chiaramente da luoghi comuni – e che non vanno confusi con gli aspetti gioiosi e di socializzazione che l’ukulele porta naturalmente con sé – come si può pretendere di restituire dignità e credibilità al nostro Quattro corde?
Ma non è finita. Se diamo un’occhiata al mercato degli strumenti musicali a corda più comuni, capiterà di imbatterci in chitarre e bassi più o meno di pregio, più o meno costosi. Ma tutti, bene o male, saranno in grado di fare il loro lavoro: suonare. Vi è un solo strumento che sembra essere esonerato da questa regola. Uno strumento per il quale, chissà perché, il confine tra “giocattolo insuonabile” e “strumento musicale”, sembra essere piuttosto sfumato.
Di quale strumento staremo mai parlando?
Esatto.
In alcuni casi gli stessi negozi specializzati si sentono autorizzati a vendere
impunemente a ignari neofiti delle ciofeche che, per carità, saranno anche blu tiffany – il vostro colore preferito – e tutte tempestate di finti swarovski di plexiglas, ma hanno un piccolo difetto: non tengono l’accordatura. E come tali sono buone solo come succedaneo della paletta schiaccia-mosche.
Perché chi li vende può spacciarli per ciò che non sono? Forse perché tanto è “piccolo, allegro, divertente trallallà” e allora beccati ’sto strumento che non suona? E qui ci si addentra in un discorso più spinoso. Molti si avvicinano all’ukulele perché costa poco. Ed è vero, non conosco altri strumenti a corda che costino poche decine di euro come l’ukulele.
Eppure…
Eppure si rischia di prendere i vostri trenta euro e depositarli direttamente
nell’archivio troncoconico, a meno che l’ukulele rosa con stampato il faccione di Harry Potter non vi serva da soprammobile.
Eppure…
Eppure basta informarsi un po’, e si scoprirà che il costare poco è davvero un
vantaggio; purché, aggiungendo solo pochi euro, si faccia attenzione a cosa si acquista.
Sarebbe sbagliato generalizzare, e non farò volutamente nomi di marche, ma
tendenzialmente non sbaglieremo considerando strumenti da 20-30 euro dei giocattoli, con meccaniche farlocche, non accordabili, che suonano come una scatola da scarpe con le corde.
Ma, magia dell’ukulele, basterà rinunciare per qualche settimana all’acquisto di Topolino, sborsare quei 10-20€ in più, e si potrà entrare in possesso di un vero ukulele soprano. E, già che ci siamo, sfatiamo un altro mito: mettiamo di essere degli assoluti esordienti e, stregati da Eddie Vedder, decidiamo di “provare” a suonare l’ukulele. Ci rechiamo nel negozio di strumenti sotto casa (o ci affidiamo alla cieca a qualche vendita su internet) e, orgogliosi del nostro nuovo acquisto dall’estetica ammaliante, sfiliamo eccitati il soprano dalla scatola di cartone e proviamo a cimentarci in un arduo accordo di DO.
Ma… cos’è ‘sto suono escrementizio? Penseremo, eufemisticamente parlando. Proveremo quindi ad accordarlo ma, ahimè, le meccaniche di latta sono lasche e non mantengono l’accordatura. L’altezza delle corde, poi, sarà tale da farci agognare il cilicio come alternativa meno dolorosa.
Senza saperlo, abbiamo acquistato un giocattolo (o un soprammobile), non un ukulele.
E l’imprinting potrebbe esserci fatale.
Sconsolati, potremmo giungere alla conclusione che forse non è lo strumento adatto a noi, senza sapere che non lo sarebbe per chiunque. Ci saremo, per 20€, letteralmente bruciati la nostra possibilità di appassionarci a questo magico strumento perché nessuno – amanti della musica atonale a parte – si appassionerebbe a qualcosa che emette cacofonie.
Eppure la soluzione è lì, a pochi euro di distanza…
Sui 40-50€ è già possibile acquistare un ukulele soprano, che magari non avrà il suono caldo e vibrante di un legno di koa hawaiano, ma consentirà un approccio allo strumento sano e costruttivo.
A quel punto, dopo un po’ di pratica e i primi accordi, si sarà davvero pronti per capire se è il caso di fare il “passettino” in più e spendere 100-200€ per quello che potrebbe essere lo “strumento definitivo”, con meccaniche solide, ottima sonorità e top in massello.
Per chi poi decidesse di mollare il lavoro di casellante autostradale per diventare un concertista, virtuoso dello strumento, nessun problema: se si è disposti a spendere sopra i mille euro esistono strumenti hawaiani, o di liuteria, dal timbro caldo e avvolgente e con una sonorità incredibile. Altro che giocattoli…
L’importante è essere consapevoli di avere, tra le nostre mani, un piccolo gioiello, col suo “carattere”, le sue possibilità sonore e anche i suoi limiti; un compagno di viaggio, affascinante, divertente.
Attenzione: divertente, non ridicolo.
E se qualcuno continua a ritenerlo tale, suggeritegli di andarsi ad ascoltare come suona la “chitarìna” gente del calibro di Jake Shimabukuro o James Hill. L’ukulele, nella sua semplicità, può dare tantissimo. Va valorizzato senza mai sminuirne le potenzialità o alterarne le timbriche con forzature che lo tramutino in una parodia dei suoi fratelli cordofoni maggiori. Semplicemente, non ne ha bisogno.
L’ukulele ha una propria identità sonora, che va esplorata ed esaltata e, come tale, è uno strumento, non un giocattolo, che merita il dovuto rispetto.
(Piccolo notiziario sul mondo dell'ukulele visto con gli occhi di due appassionate blogger)
Link agli articoli di Arianna comparsi su La Pulce: